
Il cinema della Normale "LUCI D’INVERNO " di Ingmar Bergman
Photo: David Wall by Canva
(Nattvardsgästerna)
di Ingmar Bergman
Durata: 81'
Svezia, 1963
con Max von Sydow, Ingrid Thulin, Gunnar Björnstrand, Gunnel Lindblom, Allan Edwall
Luci d'inverno è il secondo film della trilogia di Ingmar Bergman sul ‘Silenzio di Dio’, tema che, in questa pellicola del 1963, diventa particolarmente esplicito. Il pastore protestante Tomas Eriksson continua a officiare le messe e a svolgere i suoi compiti parrocchiali, ma sta attraversando una profonda crisi religiosa, iniziata quattro anni prima, con la morte dell’amata moglie. A nulla vale la dedizione di Märta Lundberg, maestra del villaggio atea e profondamente innamorata di lui: Tomas è tormentato dalla perdita della fede, acuita dal senso di colpa per il tragico suicidio di uno dei suoi parrocchiani. Mentre il clima si fa sempre più rigido, il protagonista dovrà fare i conti con la dolorosa consapevolezza di aver perso, forse per sempre, la più granitica delle certezze.
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Questa è la domanda più tragica e urgente che si pone Tomas, recuperando le parole di Gesù morente sulla croce. Il dramma di una vita si concentra in poche ore di una giornata apparentemente qualunque, scandita dagli orari prestabiliti di messe poco partecipate, tra le pareti spoglie della chiesa. Grazie alla potenza di inquadrature asciutte ed eleganti, Bergman rappresenta il dolore sordo di un pastore che si sente sempre più lontano da Dio, ma soprattutto da sé stesso e dalla sua comunità. La crisi religiosa che il protagonista attraversa è tanto più tragica perché non coinvolge lui solo, ma tutte le persone con cui si rapporta. Il silenzio pesa nella relazione con il divino, ma soprattutto impedisce la comunicazione con gli altri uomini: è il fatto stesso della sofferenza, della sua insensatezza, a condannare Tomas e la sua parrocchia a un angoscioso nichilismo. La minaccia della bomba atomica è il contraltare materiale del male spirituale, e la distanza ormai insuperabile tra il parroco e i parrocchiani si delinea nei monologhi sterili e maldestri di un parroco ormai incapace di ascoltare, di confortare.
Solo Märta, la controparte femminile e atea della pellicola, trova riparo dalla disperazione nella salvifica e tutta terrena certezza dell’amore. In una struggente lettera recitata con lo sguardo fisso in camera, la donna confessa che la sua devozione per il parroco le ha finalmente concesso uno scopo nella vita, quello di poter vivere per qualcun altro. Ma Tomas è disgustato dal suo spirito di abnegazione e, incapace nel suo isolamento di altruismo o carità, si sente sempre più smarrito.
Nella struttura perfettamente circolare del film, che si apre e si chiude su una messa, al pubblico è lasciata la lacuna più grande da colmare: qualcosa è cambiato dall’inizio? Tomas e la sua comunità hanno trovato un senso o sono stati definitivamente abbandonati da Dio?
Introduzione e dibattito a cura di Davide Didinno (Allievo ordinario SNS) e Giulia Gelli ( Allieva ordinaria SNS ).