lettere e simboli
Guida

Guida all'uso del linguaggio esteso

Per una comunicazione all’insegna dell’equità e dell’apertura
Poi mi sono accorto che la diversità è un concetto e non un’entità fisica, 
e in quanto concetto ha tre caratteristiche: è formata da parole, 
è modificabile e contribuisce a dare forma alla realtà. 

Fabrizio Acanfora, In altre parole. Dizionario minimo di diversità, Firenze, effequ, 2021
 

 

Introduzione

La Scuola Normale rifiuta ogni discriminazione e si impegna a promuovere, all’interno della propria comunità e all’esterno, tutte le azioni, le iniziative e le buone pratiche che contribuiscono a valorizzare la diversità individuale e culturale e a favorire un ambiente aperto, equo e accogliente.1  
La comunicazione fa parte a pieno titolo di questo sistema di azioni, in quanto veicolo di informazioni e contenuti che devono essere accessibili al maggior numero di persone, e cercare perciò di abbattere possibili barriere linguistiche, culturali, abilistiche; è inoltre dispositivo di rappresentazione – quanto più ampia e inclusiva – e di relazione
Il linguaggio (verbale e visivo) che si utilizza include o esclude, rende visibili o invisibili, riconosce o ignora, riproduce o innesca dinamiche relazionali. Per questo è importante che tutta la comunità lo usi consapevolmente, e contribuisca così in modo attivo alla costruzione e alla tutela di uno spazio accogliente. 
«Intervenire sui testi amministrativi eliminandone i tratti linguistici discriminanti e salvaguardando – se non addirittura migliorando – il loro livello di leggibilità e di efficacia comunicativa richiede qualcosa di più della buona volontà».2
Queste linee guida, rivolte a tutte le componenti della comunità della Scuola Normale, intendono offrire criteri, esempi e soluzioni concrete per comunicare nel rispetto di genere, etnia, neurodiversità, cultura, religione, abilità, età, provenienza geografica e sociale delle persone. Non si tratta di prescrivere norme rigide, ma di fornire strumenti che aiutino a improntare le relazioni all’insegna dell’equità e dell’apertura.

Principi generali

Ogni comunicazione, formale o informale, è un atto che costruisce relazioni; le parole non sono mai neutre: escludono, accolgono, ignorano, valorizzano. Usare un linguaggio esteso3  significa abbattere le barriere comunicative, riconoscere e rappresentare le varie identità e i diversi posizionamenti, e così ampliare e rendere efficace la comunicazione, ma anche favorire il senso di appartenenza alla comunità di tutte e tutti coloro che ne fanno parte.  

Suggerimenti:

  • Mettere al centro la persona, non la sua condizione o la sua (reale o presunta) appartenenza.
  • Usare espressioni inclusive o neutre (se nel contesto non è necessario specificare il genere o altre caratteristiche identitarie).
  • Evitare stereotipi e formule stigmatizzanti.
  • Dosare il linguaggio tecnico e burocratico.

Esempi: 
- Invece di: “I disabili possono fare richiesta” → “Le persone con disabilità possono fare richiesta”
- Invece di: “Lo studente deve compilare il modulo” → “Studenti e studentesse devono compilare il modulo” 
- Invece di: “Il docente deve firmare” → “La/il docente deve firmare” oppure “Chi tiene il corso deve firmare”.
- Invece di “I professori devono partecipare” → “Il corpo docente deve partecipare”
- Invece di “Il cittadino/i cittadini” → “la cittadinanza”, “le persone”, “la popolazione”, “chi risiede nel territorio”.
- Invece di “entro e non oltre il termine del 15 c.m., sarà possibile inoltrare la richiesta di riconoscimento CFU” → “il riconoscimento dei Crediti Formativi Universitari (CFU) va richiesto entro il 15 aprile”
- Invece di “Gli studenti stranieri devono...” → “le studentesse e gli studenti internazionali devono...”

Genere e identità di genere

La lingua italiana non ha un genere neutro e storicamente ha impiegato il maschile per designare gruppi di genere misto, ma anche – per motivi culturali e sociali – per definire determinati titoli e professioni (Avvocato, Ministro, Ingegnere, Cavaliere del lavoro…), indipendentemente dal fatto che col tempo iniziavano a essere appannaggio anche delle persone socializzate donne. Negli ultimi decenni, tuttavia, il cambiamento di paradigma culturale e sociale avviato con i movimenti femministi ha portato a riflettere sull’uso sovraesteso4  del maschile e a cercare di abolirlo, anche nella comunicazione istituzionale. 
Ad oggi, quasi ogni ateneo italiano si è dotato di linee guida e vademecum per l’utilizzo di un linguaggio che rispetti le differenze di genere (meno diffusi, invece, i testi relativi al concetto più ampio di linguaggio esteso), nella consapevolezza che riconoscere l’identità di genere nelle parole che usiamo contribuisce a superare pregiudizi, stereotipi e discriminazioni, e a diffondere una cultura del rispetto e della valorizzazione delle differenze.

Suggerimenti:

  • Evitare il maschile sovraesteso.
  • Alternare l’ordine femminile/maschile.
  • Usare, per persone socializzate donne, titoli professionali declinati al femminile.
  • Là dove non è necessario specificare i generi, optare per formule non caratterizzate.
  • Non usare simboli non accessibili.6 

Esempi: 
- Invece di: “L’allievo è tenuto a seguire” → “Allievi e allieve devono seguire”7  
- Invece di: “Spetta ai presidi della Classe” → “Spetta al Preside o alla Preside della Classe”
- Invece di “I diritti dell’allievo” → “I diritti di allieve e allievi”
- Invece di “Le conquiste dell’uomo” → “Le conquiste dell’umanità”
- Invece di “Il compito dello scienziato/del ricercatore” → “I compiti di scienziati e scienziate/di chi fa ricerca”  

Orientamento sessuale e identità LGBTQIA+

Una comunicazione accogliente richiede di evitare generalizzazioni, prestare attenzione all’autoidentificazione e all’autodeterminazione delle persone, e usare termini attuali e corretti

Suggerimenti:

  • Non presumere l’orientamento sessuale o l’identità di genere delle persone.
  • Riconoscere le diversità senza ridurre a categorie.
  • Usare la forma “persona + aggettivo”.

Esempi: 
- Invece di: “I gay” → “Le persone LGBTQIA+” 
- Invece di: “Un transgender” → “Una persona trans” 
- Invece di: “il padre e la madre/i genitori” → “la famiglia”

Disabilità

Parlare di disabilità significa adottare una prospettiva centrata sulla persona e sul contesto, evitando etichette riduttive, eufemismi e formule condiscendenti. Le parole che usiamo possono scardinare stereotipi e contribuire a una cultura della dignità, dell'autonomia e del rispetto.

Suggerimenti:

  • Dare priorità alla persona.
  • Evitare eufemismi o pietismo.
  • Usare termini diretti, precisi e condivisi.
  • Non ridurre la persona alla sua diagnosi.

Esempi: 
Invece di: “I disabili” → “Persone con disabilità” 
Invece di: “Affetta da cecità” → “Persona cieca” o “persona con disabilità visiva”. 
Invece di: “Costretto su una sedia a rotelle” → “Persona che usa una sedia a rotelle”.

Accessibilità

Tutte le persone devono poter accedere alle informazioni e fruire dei contenuti in modo equo. Una comunicazione accessibile tiene conto delle diverse abilità sensoriali, cognitive, linguistiche e tecnologiche, e adotta accorgimenti non esclusivi.

Suggerimenti:

  • Utilizzare caratteri chiari e leggibili.
  • Curare il contrasto cromatico tra testo e sfondo.
  • Per le immagini, inserire didascalie nei testi a stampa, e testi alternativi (alt text), nei siti web e sui canali social.
  • Non veicolare informazioni solo attraverso file immagine.
  • Evitare tabelle con annidamenti.
  • Usare un linguaggio semplice e diretto, evitando tecnicismi inutili.
  • Evitare simboli non riconosciuti dagli screen reader (es. ə).
  • Evitare il corsivo.
  • Evitare il testo giustificato e optare per l’allineamento a sinistra, che migliora la leggibilità.
  • Limitare l’uso eccessivo di maiuscole che può risultare difficile da decifrare.
  • Usare dimensioni di font adeguate (almeno 12-14 pt per testi principali).
  • Strutturare i contenuti in modo ordinato e coerente (titoli, elenchi, paragrafi).

Esempi:

- Invece di: PDF composti da immagini acquisite senza testo selezionabile → Preferire: file accessibili con testo digitale compatibile con lettori vocali.
- Invece di: "Clicca qui" senza contesto → Scrivere: "Più info/Leggi il bando/Iscriviti al concorso".
- Evitare l’uso dello schwa (ə) nei documenti ufficiali → Preferire: forme inclusive accessibili (sdoppiamento, collettivi, impersonali).
- Evitare font con grazie strette (Times New Roman), caratteri irregolari (Comic Sans) e monospaziati (Courier New) → Prediligere Arial, Verdana, Aptos, Helvetica, Avenir.
- Associare icone e mappe visive a testi complessi e istruzioni. 

Neurodiversità e linguaggio comprensibile

La comunicazione universitaria deve tenere conto della pluralità dei modi di percepire, elaborare e interagire con il mondo. Le persone neurodivergenti – come quelle nello spettro autistico, con ADHD, dislessia o altri profili cognitivi atipici – possono incontrare ostacoli nell’interpretare alcune modalità comunicative, e quindi non avere accesso a tutte le informazioni.
Contemplare la neurodiversità nel linguaggio non è solo una questione di accessibilità: è un modo per valorizzare differenti forme di intelligenza e partecipazione. Comunicare in modo chiaro favorisce l’apprendimento, la collaborazione e l’equità.8 

Suggerimenti:

  • Usare frasi brevi, dirette e in forma attiva.
  • Evitare costruzioni complesse, con incisi multipli o subordinate troppo lunghe.
  • Limitare l’uso di espressioni gergali, burocratiche, il linguaggio figurato.
  • Sciogliere gli acronimi alla prima occorrenza e definire i termini tecnici.
  • Esplicitare le parole chiave di un discorso o di un testo.
  • Usare elenchi puntati, paragrafi brevi e titoli chiari.
  • Ricorrere, dove possibile, a schemi visivi, mappe concettuali o diagrammi che aiutino a organizzare le informazioni testuali.
  • Evitare ambiguità nei riferimenti pronominali o temporali.

Esempi:
- Invece di: “Nel caso in cui l’interessato, che abbia presentato domanda entro i termini, ma non abbia ricevuto conferma…” → “Se hai presentato domanda entro la scadenza, ma non hai ricevuto conferma…”.
- Invece di: “Verranno raccolti i feedback tramite il modulo online” → Scrivere: “Raccoglieremo i commenti usando un modulo online”.
- Invece di: “Il GEP è stato sottoposto al CUG” → “Il Gender Equality Plan (GEP) è stato sottoposto al Comitato Unico di Garanzia (CUG)”.
- Invece di: “Il servizio è subordinato alla sottoscrizione, per presa visione e accettazione, delle presenti condizioni di utilizzo” → “Per accedere al servizio è necessario sottoscrivere le condizioni di utilizzo indicate in questo documento”

Etnia, provenienza, colore della pelle

Il modo in cui ci riferiamo all’etnia, alla provenienza geografica o al colore della pelle ha un impatto diretto sulla rappresentazione delle persone e delle comunità.
Fare riferimento a queste dimensioni è opportuno solo quando rilevante, in contesti specifici (es. ricerche, dati statistici, temi di inclusione), e mai come definizione primaria dell’identità di una persona. Va evitato qualsiasi linguaggio che generalizzi, semplifichi o riduca la complessità delle identità culturali, etniche o migratorie. È importante privilegiare descrizioni contestuali, evitare espressioni esotizzanti o stigmatizzanti, e non presumere la provenienza o lo status giuridico in base all’aspetto.
Promuovere un linguaggio rispettoso in questo ambito significa anche evitare etichettature visive o culturali, e non ridurre le persone a provenienze, cittadinanze o categorie etniche. 

Suggerimenti:

  • Non usare “razza” in modo non critico o come categoria descrittiva standard.
  • Evitare semplificazioni o categorie omologanti come “neri”, “asiatici”, “mediorientali”.
  • Non usare termini stigmatizzanti o obsoleti come “extracomunitario”, “clandestino”, “zingaro”.
  • Privilegiare descrizioni contestuali e neutre come “persone di origine...”, “persone con background migratorio”, “studenti internazionali”.
  • Evitare riferimenti alla provenienza se non necessari al contesto (es. “il collega senegalese” in una frase dove la nazionalità è irrilevante).

Esempi:
- Invece di: "Uno studente extracomunitario" → "Uno studente internazionale" oppure "uno studente proveniente da un Paese non appartenente all’UE" (solo se serve specificare).
- Invece di: "Ragazzi di colore" → "Persone afrodiscendenti", "Persone di origine africana" (a seconda del contesto e del registro).
- Invece di: "Il venditore arabo" → "Il venditore del negozio all’angolo".
- Invece di: "Una famiglia immigrata" → "Una famiglia con background migratorio".
- Invece di: "Un rifugiato" → "Una persona con status di rifugiato/a" (prima la persona, poi la condizione).
- Invece di: "La badante ucraina" → Scrivere: "Una lavoratrice dell’assistenza/assistente familiare/ persona che presta assistenza a domicilio (proveniente dall’Ucraina, solo se rilevante)".

Condizione socioeconomica

Il linguaggio può combattere lo stigma legato alla povertà, al disagio economico o all’occupazione in settori considerati “umili”. Quando si parla di persone in situazione economica svantaggiata, è importante evitare di ridurle alla loro condizione, e riconoscere il contesto sociale e strutturale in cui la situazione si sviluppa; lo stesso vale per il modo in cui si nominano le professioni meno valorizzate socialmente, che meritano linguaggio preciso, dignitoso e non riduttivo.
Sono da evitare anche narrazioni eroiche o colpevolizzanti (“ce l’ha fatta nonostante tutto”, “è povera perché non si impegna”), nel riconoscimento della complessità dei fattori sociali, culturali ed economici che influenzano le traiettorie individuali.

Suggerimenti:

  • Evitare etichette come “i poveri”, “i barboni”, “gli ultimi”, e usare espressioni che mettono al centro la persona.
  • Parlare dei lavori senza ridurre le persone al ruolo o riprodurre stereotipi (“le donne delle pulizie”), valorizzando invece la professionalità e il contesto lavorativo.
  • Evitare toni pietistici, caritatevoli o di disprezzo.

Esempi:
- Invece di: "I poveri" → "Le persone in condizione di povertà/in situazione economica svantaggiata/con risorse economiche limitate ".
- Invece di: "Una donna delle pulizie" → "Una lavoratrice della impresa/cooperativa di servizi di pulizia".
- Invece di: "I barboni" → "Le persone senza dimora".
- Invece di: "Gli ultimi" → "Le persone in situazioni di vulnerabilità economica e esclusione sociale".

Religione e convinzioni personali

In una società pluralista e in uno Stato laico come l’Italia, la comunicazione pubblica deve rispettare tutte le credenze religiose (o l’assenza di esse), senza dare per scontata o imposta quella della maggioranza. La Costituzione italiana tutela la libertà religiosa e impone la neutralità delle istituzioni9:  anche il linguaggio utilizzato nei contesti universitari deve riflettere questo principio.
È importante evitare riferimenti impliciti o automatici alla religione cattolica come unico orizzonte culturale condiviso. Questo vale non solo per i contenuti espliciti, ma anche per le espressioni quotidiane, le metafore religiose, i riferimenti festivi o simbolici che possono escludere chi appartiene ad altre fedi, o non si riconosce in alcuna.

Suggerimenti:

  • Evitare espressioni stereotipate o etichettanti associate a fedi particolari (es. “fanatico religioso”, “fondamentalista mediorientale”).
  • Usare espressioni neutre e rispettose: “persona di fede musulmana”, “persona ebrea”, “persona cristiana”, solo se rilevanti nel contesto.
  • Non associare automaticamente religione, etnia e nazionalità.
  • Prestare attenzione ai riferimenti alle festività religiose nel linguaggio istituzionale.

Esempi:
- Invece di: “Durante le vacanze di Pasqua non si terranno lezioni” → “Dal…al…non si terranno lezioni”.
- Invece di: “Il collega musulmano festeggia il Ramadan” → “Alcune persone nella nostra comunità celebrano il Ramadan” (se serve, riferirsi al periodo).
- Invece di: “Fanatico religioso” → “Movimento religioso radicale” o “gruppo estremista a base confessionale”, se davvero necessario e con contesto.
- Invece di: “Musulmano” per intendere genericamente e/o arbitrariamente una provenienza dall’Asia sud-occidentale → Specificare l’informazione realmente rilevante (es. cittadinanza, fede religiosa, lingua parlata), senza usare presunzioni, etichette generiche e fuorvianti.

Comunicazione visiva

Anche la comunicazione visiva deve tenere conto della varietà dei corpi, dei volti, dei contesti, e riflettere la pluralità. Le immagini, le illustrazioni e i materiali visivi contribuiscono a costruire immaginari, modelli e aspettative, per cui un uso attento e consapevole degli apparati iconografici può favorire l’accoglienza, il senso di appartenenza e la rappresentazione equa. Una comunicazione visiva ampia non deve “inserire diversità” per obbligo, ma partire da un’immagine reale, complessa e rispettosa della società in cui viviamo. Curarne la scelta è una responsabilità culturale e politica10

Suggerimenti:

  • Rappresentare la diversità umana: nelle immagini fotografiche e illustrative includere persone di diverse età, etnie, generi, abilità, corporature, stili di abbigliamento, ruoli accademici e lavorativi.
  • Evitare immagini stereotipate e tokenismi (es. “la donna che serve il caffè”, “la persona con disabilità sempre sorridente”).
  • Non usare sempre e solo immagini patinate, iper-performative o idealizzate: privilegiare contesti realistici e autentici.
  • Valorizzare anche soggetti non conformi ai diktat di bellezza, magrezza, giovinezza o abilità, spesso dominanti nei media.
  • Rappresentare la comunità in modo equamente distribuito tra i generi.
  • Alternare immagini con ambienti formali e informali per trasmettere la molteplicità della vita universitaria.
  • Curare la varietà delle posture, espressioni, attività rappresentate.

Esempi: 
- Invece di: foto con soli uomini caucasici → Immagini con persone di età, genere, etnia diverse, rappresentate in contesti realistici.
- Invece di: foto di una sola donna sorridente in mezzo a uomini → Gruppi misti, in ruoli paritari, con espressioni e posture variate.
- Invece di: rappresentare una persona con disabilità sempre assistita → Immagini che mostrano autonomia, partecipazione, attività quotidiane o professionali.
- Invece di: immagini promozionali generiche, senza contesto → Scene di vita reale universitaria, con aule, laboratori, biblioteche, interazioni.

Vademecum per l’uso del linguaggio esteso

  1. Genere: usa il doppio genere, termini collettivi o forme neutre.
  2. Disabilità: prima la persona, poi la condizione. Niente pietismo né eufemismi.
  3. Etnia: evita etichette, usa descrizioni contestualizzate, solo se servono.
  4. LGBTQIA+: non presumere, rispetta l’autodeterminazione, evita le semplificazioni.
  5. Religione e convinzioni: nomina solo se serve, non imporre il tuo orizzonte culturale.
  6. Condizione socioeconomica: usa termini dignitosi e non ridurre le persone alla loro condizione.
  7. Neurodiversità: usa un linguaggio semplice, frasi brevi, acronimi spiegati.
  8. Accessibilità: usa formati leggibili, alt text, font chiari, testo non giustificato.
  9. Comunicazione visiva: mostra una pluralità di età, corpi, etnie, ruoli, contesti. Evita stereotipi e tokenismi.
  10. Parole utili: persona, comunità, umanità, cittadinanza, chi, chiunque, risorsa, figura, profilo.

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Contatti

Per informazioni, approfondimenti e suggerimenti potete contattare l’Ufficio Comunicazione: comunicazione@sns.it

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Note________________________________

[1] «Ciascun appartenente alla Comunità ha diritto a essere trattato con rispetto e a non subire discriminazioni, in ragione di uno o più fattori, quali ad esempio la religione, il genere, l’orientamento sessuale, le convinzioni personali, l’aspetto fisico, la lingua, le origini etniche o sociali, la cittadinanza, le condizioni  personali e di salute, la gravidanza, le diverse abilità, le scelte familiari, l’età nonché il ruolo che occupa in ambito universitario» (Codice etico della Scuola Normale Superiore, p. 2).
[2] Linee Guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del MIUR (2018), p. 16. Nostro il corsivo.
[3] In questo documento si è scelto di adottare l’espressione “linguaggio esteso” (e “comunicazione ampia”) e non “linguaggio inclusivo”. La scelta risponde a una riflessione sul termine “inclusivo/a” che, pur nato con l’intento di valorizzare la pluralità, può suggerire l’idea che esista un centro normativo che ammette/include persone esterne. Parlare di linguaggio esteso significa invece riconoscere fin dall’inizio la molteplicità dei vissuti, delle identità, delle esperienze, senza posizioni centrali che concedono accoglienza, ma ampliando lo spazio discorsivo e relazionale. Il linguaggio esteso non si limita a evitare esclusioni, ma lavora attivamente per allargare i confini della rappresentazione e favorire relazioni paritarie nella comunicazione.
[4] Con maschile sovraesteso si intende l’uso del genere maschile per riferirsi a gruppi che comprendono, o potrebbero comprendere, persone socializzate donne e persone non binarie
[5] La questione, nell’ambito della comunicazione pubblica, è stata portata alla ribalta in Italia per la prima volta in modo sistematico e critico da Alma Sabatini ne Il sessismo nella lingua italiana (1987), promosso dalla Commissione Nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le proposte di Alma Sabatini sono state recepite nel Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche pubblicato dal Dipartimento per la Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri (1993) e successivamente nel Manuale di Stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche. Proposta e materiali di studio, a cura di Alfredo Fioritto (1997). Un importante richiamo alla necessità di usare un linguaggio non discriminatorio è arrivato poi con la Direttiva 23 maggio 2007 Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche, emanata per attuare la Direttiva 2006/54/CE del Parlamento e del Consiglio europeo. Un contributo fondamentale per la revisione del linguaggio della Pubblica Amministrazione è stato quello di Cecilia Robustelli con le Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, Progetto genere e linguaggio. Parole e immagini della comunicazione (2012) svolto in collaborazione con l’Accademia della Crusca e realizzato con il finanziamento della regione Toscana, 2012. Nel 2018 il MIUR ha pubblicato le Linee Guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del MIUR, prodotte da un Gruppo di lavoro coordinato da Cecilia Robustelli.
[6] Lo schwa (ə) – così come la terminazione in 3 o in @ – può non essere interpretato correttamente dai software di lettura assistita (screen reader) utilizzati da persone cieche o ipovedenti e può creare difficoltà di lettura e comprensione in persone con neurodivergenze (dislessia, DSA, autismo…) e non madrelingua. Per questo motivo non è utilizzato nei documenti istituzionali, nei siti web e sui canali social SNS (a meno che non vengano riportate citazioni). La Scuola Normale si auspica, tuttavia, di riuscire a individuare al più presto una modalità condivisa e accessibile per rivolgersi a, e rappresentare, le persone non binarie. 
[7] Al posto di “Ricercatori vincitori di ERC”, per snellire la frase è possibile scrivere → “Ricercatrici e ricercatori vincitori di ERC” accordando l’aggettivo all’ultimo sostantivo.
[8] Rendere maggiormente comprensibile il linguaggio dei documenti ufficiali a chi ha diverse abilità cognitive, o neurodivergenze, è utile anche per comunicare più efficacemente con persone non di madrelingua italiana. La Scuola Normale promuove una comunicazione biligue (italiano/inglese), ma ci possono essere membri della comunità che non hanno conoscenza avanzata di nessuna delle due; in questo senso la semplificazione della sintassi e del lessico agevola anche l’accesso alle informazioni per le persone che non hanno padronanza approfondita dell’italiano e dell’inglese.
[9] Cfr. Articolo 19, Articolo 8 e Articolo 20.
[10] La composizione attuale del corpo studentesco e docente della Scuola Normale presenta una significativa prevalenza maschile. Tuttavia, una comunicazione visiva che si limitasse a riflettere questo dato rischierebbe di promuovere lo squilibrio e scoraggerebbe l’identificazione delle studentesse potenziali. È perciò strategico e legittimo adottare rappresentazioni visive che anticipino il cambiamento: mostrare immagini bilanciate, plurali e inclusive è un modo per rendere visibile lo spazio che la Normale intende aprire, anche se non ancora pienamente realizzato. Si tratta di una azione simbolica proattiva, in linea con le finalità di reclutamento e riequilibrio di genere a cui la Scuola Normale aspira.