
Il cinema della Normale "GIULIETTA DEGLI SPIRITI" di Federico Fellini
Photo: David Wall by Canva
GIULIETTA DEGLI SPIRITI
di Federico Fellini
Durata: 129'
Italia, 1965
con Valentina Cortese, Sandra Milo, Mario Pisu, Sylva Koscina, Giulietta Masina, Silvana Jachino
“Giorgio è stato il mio primo amore”, racconta Giulietta alla vicina Susy, nascosta tra le fronde della sua casa sull’albero. Dopo il matrimonio, “lui è diventato tutto il mio mondo. Il mio sposo, il mio amante, mio padre, il mio amico, la mia casa. Ecco, io non avevo bisogno d’altro”, confessa, e mostra così la ferita aperta di un lutto di portata esistenziale.
Il tradimento di Giorgio non mette in discussione solo il matrimonio di Giulietta, ma tutta la sua identità, la tranquilla vita borghese, i valori che ha sempre pensato di incarnare: la fedeltà, la morigeratezza, l’ordine. Dietro al suo pudore, al ricorrente rifiuto di spogliarsi, è il giudizio moralizzante dei propri desideri, nutrita a dismisura dalla severa educazione cattolica. Giulietta è vittima della propria compiacenza verso il marito, verso sua madre e prima ancora verso Dio: tanta è la sua vergogna, da tramutarsi addirittura in pulsione di morte.
Tutto ciò si contrappone, nelle visioni e nei sogni della protagonista, alle sedute spiritiche, all’ipnosi, ai santoni indiani; gli spiriti che comunicano a Giulietta dall’aldilà non sono altro che le pulsioni verso una vita diversa nell’al di qua. Ma questi fantasmi la spaventano, soprattutto quello che emerge attraverso il confronto con Susy. La sfacciata vicina impersonifica tutto ciò che Giulietta teme e, al contempo, desidera inconsciamente: una vita libera, in cui la lealtà è riservata solo a sé stessa e ai propri istinti.
Fellini non si lascia sfuggire l’occasione di sviluppare alcune delle sue ossessioni registiche, in primo luogo la profonda fascinazione per la psicoanalisi, che già in 8 ½ ordina le scene secondo il ritmo intimo e complesso di ricordi, impressioni, introspezioni. Il nome di Iris, lo spirito guida di Giulietta, è richiamato nella scelta ricorrente di illuminare solo gli occhi della donna, lasciando al buio il resto della scena: così, attraverso lo sguardo, il pubblico è invitato ad accedere all’intimità delle sue visioni.
Evoluto qui appare invece l’interesse per le donne, che dall’harem universale del film precedente passa all’immedesimazione in una protagonista femminile, interpretata dalla moglie stessa. Come in 8 ½, arte e autobiografia si intrecciano a tal punto che non è possibile vedere in Giulietta un riflesso di Masina, né una maschera di Fellini, ma una creatura ibrida e forse per questo tanto affascinante.
Ma nel primo lungometraggio a colori del regista riminese ritroviamo altri tratti caratteristici dei film precedenti. Dalla dimensione onirica alla lussuria, dal satanico agli scenari circensi e kitsch, dall’occultismo all’immaginario religioso, tutto converge in uno sfavillante caleidoscopio, che diventa un filtro surreale attraverso cui guardare la quotidianità di una donna che pensa di dover riconquistare il marito, mentre in realtà deve solo riguadagnare sé stessa.