Il cinema della Normale "LA PAROLA AI GIURATI"  di Sidney Lumet

Il cinema della Normale "LA PAROLA AI GIURATI" di Sidney Lumet

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Photo: David Wall by Canva

LA PAROLA AI GIURATI
(Twelve Angry Men)

di Sidney Lumet
Durata: 95'
USA, 1957
con  E.G. Marshall, Lee J. Cobb, Henry Fonda, Martin Balsam, Ed Begley, Jack Klugman
 

Film in versione originale sottotitolata

Ingresso libero e gratuito, senza necessità di prenotazione

Dodici uomini sono chiamati come membri di una giuria popolare a deliberare su un processo per omicidio, in una torrida serata estiva a New York. L’imputato è un giovane proveniente da un quartiere povero della città, accusato di aver ucciso il padre a seguito di un violento litigio. Tutte le prove sembrano confermare la sua colpevolezza: il diciottenne non ha un alibi convincente, l’arma del delitto è un coltello dello stesso modello di quello che lui afferma di aver perso e ben due testimoni dichiarano di aver sentito o addirittura visto attraverso la finestra il compiersi dell’omicidio. La giuria popolare è chiamata a decidere se scagionare il ragazzo, o condannarlo alla sedia elettrica.  

Inizialmente tutti esprimono un verdetto di colpevolezza, tranne il giudice numero 8, interpretato da Henry Fonda. Le sue argomentazioni sono fragili, basate semplicemente sulla convinzione che per decidere della vita di un uomo sia necessario procedere con cautela e valutare ogni possibile alternativa. Ma quel dubbio, inizialmente dettato solo dalla scrupolosità, fa emergere alcune incongruenze nelle testimonianze e nelle prove iniziano a emergere e la giuria dovrà confrontarsi con i propri preconcetti e pregiudizi prima di prendere una decisione.

Opera dello stesso regista di Serpico, Dog Days Afternoon e Network, 12 Angry Men si fa portavoce di una filosofia essenzialmente umanitaria, capace di parlare in termini universali, ma senza distogliere lo sguardo dalle questioni socio-politiche più discusse nel panorama statunitense degli anni ‘50. La radicale proposta di Lumet è che l’assenza di una certezza sia ragione sufficiente per scegliere la strada della compassione, anche rischiando che ciò vada a discapito della giustizia; che uccidere un innocente sia più grave che scagionare un colpevole.

In realtà, non è nemmeno chiaro se si possa mai davvero giungere a un verdetto certo, o se ogni sicurezza altro non sia che una falsa percezione basata su pregiudizi inconsci. La riflessione sui bias non passa solo attraverso l’analisi delle convinzioni dei giudici, ma sfida anche il pubblico a riconoscere la fragilità delle proprie certezze. Per esempio, ciascuno spettatore si farà un’immagine mentale del ragazzo e della sua etnia, anche se questa non viene mai rivelata, e si sa solo che l’imputato appartiene a una minoranza razzializzata - distinzione che negli Stati Uniti all’epoca comprendeva tanto le popolazioni nere, asiatiche e latine quanto i migranti di origine italiana, irlandese o spagnola.

La sfida che propone Lumet al pubblico è di provare ad analizzare un fatto di cronaca e di tutte le conseguenti questioni politiche ed esistenziali senza che gli sia mostrato nulla. A eccezione di pochi minuti iniziali e finali e di due brevi sequenze in una sala da bagno, l’intero film è girato in una sola stanza. Chiusi in una camera asfissiante, i dodici protagonisti, la maggior parte senza nome, sono chiamati a stabilire la verità su un episodio di cui non hanno visto niente e il regista sceglie di lasciare gli spettatori e le spettatrici nella stessa condizione. Anche la vittima, l’accusato e i testimoni sono senza nome oltre che senza volto in una tale condizione di anonimato che il pubblico può affidarsi solo alle parole dei giurati per ricostruire il caso. Mentre le verità si moltiplicano in base alle personalità, alle emozioni, alle posizioni politiche e di classe di chi parla, anche il microcosmo chiuso della stanza si frammenta, grazie ai numerosi punti di ripresa, per restituire visivamente la conflittualità e le divisioni all’interno del gruppo. Ma, con il procedere della pellicola, il grandangolo è gradualmente sostituito da teleobiettivi, il campo si accorcia e le telecamere si avvicinano sempre di più ai volti dei giurati, visibilmente sudati, per cogliere ogni sfumatura della loro tensione. I primi piani finali danno l’idea che le pareti si siano ormai strette come una morsa intorno ai protagonisti, costretti a riconsiderare ogni loro certezza. 

Introduzione e dibattito a cura di Allieve e Allievi SNS.